In Italia ciò che per anni è stato chiamato “conservazione sostitutiva” delle fatture è oggi, più correttamente, la conservazione digitale a norma dei documenti fiscalmente rilevanti. Il cambio di lessico non è una finezza: indica il passaggio da un’ottica di mera scansione del cartaceo a un sistema giuridico-tecnico che deve garantire nel tempo autenticità, integrità, leggibilità e reperibilità dei documenti, secondo il Codice dell’Amministrazione Digitale e le Linee guida AgID sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici. Per le fatture, questo impianto si intreccia con l’articolo 39 del DPR 633/1972, che impone la conservazione delle fatture emesse e ricevute per i termini ordinari di accertamento, di regola dieci anni, e con la disciplina dell’e-fattura che ha reso il file XML transitato dal Sistema di Interscambio l’originale fiscalmente valido, relegando il PDF a semplice copia di cortesia.
La prima verità operativa è che si conserva il documento che ha valore legale, non la sua immagine. Per le fatture elettroniche attive il documento da porre in conservazione è l’XML FatturaPA effettivamente inoltrato e accettato o messo a disposizione dal Sistema di Interscambio, insieme al corredo di metadati e alle ricevute di esito che ne attestano il ciclo di vita; per le fatture passive il riferimento è l’XML ricevuto e acquisito dai canali ufficiali. La stampa su carta o il PDF inviato al cliente rimangono supporti utili alla consultazione, ma non sostituiscono il documento originale. Quando la fattura nasce su carta o come documento analogico, la dematerializzazione è possibile, ma richiede un processo che assicuri che la copia informatica sia conforme all’originale, che l’oggetto sia poi preso in carico dal sistema di conservazione e che la consultazione e l’esibizione a richiesta dell’amministrazione finanziaria siano sempre garantite.
La seconda verità è che la conservazione non coincide con l’archiviazione in una cartella o in un cloud generico. Le Linee guida AgID chiedono che esista un sistema di conservazione con ruoli, responsabilità e procedure definite, un Manuale della conservazione che descriva come i pacchetti di versamento diventano pacchetti di archiviazione e come, all’occorrenza, si producano pacchetti di distribuzione per l’esibizione; chiedono che ci sia un responsabile della conservazione e che le operazioni siano tracciate, con sigilli temporali e firme elettroniche nei punti in cui servono a garantire la non modificabilità e la prova del “chi ha fatto cosa, quando e come”. Il contribuente può organizzarsi in proprio o affidare il servizio a un conservatore esterno, ma la responsabilità fiscale dell’adempimento resta sua: se la conservazione non è a norma, in caso di controllo ne risponde comunque il soggetto obbligato, non il fornitore.
I tempi hanno una valenza sostanziale. La normativa fiscale consente di completare il processo di conservazione entro un termine che, per i documenti informatici rilevanti ai fini tributari, si coordina con le scadenze delle dichiarazioni: in via generale la chiusura della conservazione deve avvenire entro tre mesi dal termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta cui le fatture si riferiscono. Questo significa che, al di là della tempestiva presa in carico dei documenti, esiste un momento entro il quale il lotto deve essere “chiuso” e sigillato, così da cristallizzare il contenuto e impedire mutazioni. La conservazione non si consuma nell’upload giorno per giorno, ma si perfeziona con la formazione periodica del pacchetto di archiviazione secondo gli standard previsti, con apposizione di firma del responsabile del sistema o del conservatore e di marca temporale che “data” giuridicamente il blocco.
Una conservazione a norma, per essere tale, deve pensare sin dall’inizio al giorno in cui i documenti saranno chiesti in esibizione. La leggibilità nel tempo non è scontata: occorre assicurare che gli XML restino apribili e interpretabili, che le ricevute dell’Agenzia delle Entrate siano collegate, che la ricerca per chiavi fiscali sia rapida e che l’intero fascicolo sia riproducibile e trasmissibile con strumenti idonei. La disciplina fiscale non pretende formati proprietari o piattaforme dedicate, ma impone un risultato: quando l’amministrazione lo chiede, il contribuente deve poter mettere a disposizione le fatture e la relativa “storia” in modo tempestivo, completo e intellegibile. È per questo che i sistemi seri governano non solo i file, ma anche i metadati, le relazioni tra documenti e le evidenze tecniche dell’avvenuto scambio.
Il rapporto con l’e-fattura ha semplificato molti adempimenti, ma non ha eliminato la conservazione. Il servizio gratuito dell’Agenzia delle Entrate consente, a chi lo attiva, di conservare presso l’Agenzia le fatture elettroniche transitate dal SdI; è una strada percorribile, soprattutto per i soggetti di minori dimensioni, ma richiede adesione espressa e non sostituisce la conservazione di altri documenti rilevanti, né copre eventuali fatture gestite fuori dal perimetro dello SdI. Chi non aderisce deve dotarsi di un proprio sistema o di un conservatore e ricordare che, in caso di verifica, la pretesa “stampa dal gestionale” non equivale al requisito legale, perché la fonte della verità resta l’XML originale con le sue ricevute.
Affidare la conservazione a un fornitore esterno non muta la logica delle garanzie. Il contratto deve chiarire qualità e disponibilità del servizio, livelli di sicurezza, misure di continuità operativa, requisiti di esibizione e tempi di restituzione in caso di recesso; deve chiarire dove risiedono i dati e con quali tutele giuridiche, specie se il conservatore utilizza infrastrutture cloud ubicate fuori dallo Spazio Economico Europeo. Sul piano IVA è ammesso che i documenti siano conservati in un altro Stato membro, purché l’accesso online sia garantito senza ritardi; per il resto del mondo valgono condizioni più caute, perché l’amministrazione deve poter entrare in possesso di ciò che chiede nei tempi e nei modi previsti. La scelta del fornitore, in altre parole, ha risvolti legali oltre che tecnici e commerciali.
Non va dimenticato che la conservazione è un adempimento trasversale, non confinato alle sole fatture. Registri IVA, libri contabili, dichiarazioni e comunicazioni, corrispettivi telematici, documenti doganali e ogni altro documento fiscalmente rilevante seguono regole analoghe, con la differenza che per alcuni repertori si aggiungono obblighi formali ulteriori o imposte indirette da assolvere con modalità elettroniche. Vale la pena che il ciclo di conservazione sia disegnato in coerenza con l’intero patrimonio documentale, in modo da evitare isole non presidiate o duplicazioni costose.
La giurisprudenza e la prassi amministrativa, quando valutano l’efficacia probatoria di una conservazione digitale, guardano alla sostanza: integrità e immodificabilità nel tempo, corretta riferibilità del documento al soggetto, tracciabilità delle operazioni, tempestività di esibizione. È qui che si misura la differenza tra un archivio di file e un sistema di conservazione a norma. Un’impresa che costruisce la propria conservazione con questi criteri trasforma un obbligo in una garanzia: il giorno del controllo potrà dimostrare in modo ordinato ciò che ha fatto, con documenti integri e contestualizzati, e il resto dell’anno si godrà la certezza di un patrimonio informativo gestito con disciplina. In un ecosistema in cui la fattura elettronica è ormai la regola e in cui gli scambi passano da infrastrutture pubbliche, la conservazione non è l’ultimo anello della catena: è il ponte tra il tempo in cui il documento nasce e quello in cui dovrà parlare per noi.